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L’apprendimento - Chiave di volta del modello cognitivo-relazionale - di R. Marchesini

Per comprendere meglio le caratteristiche dell’approccio cognitivo-relazionale è utile partire dagli eventi configurativi di base della costruzione dell’identità comportamentale, vale a dire dai processi di apprendimento. Per farlo metteremo a confronto il modello che più è stato seguito nel Novecento per spiegare l’acquisizione di nuovi comportamenti da parte dell’animale ossia il modello behaviorista. Tale approccio è marcatamente non-mentalistico, vale a dire non presuppone una spiegazione sistemica dell’espressione animale - la mente è a tutti gli effetti un sistema e avere un approccio mentalistico significa in buona sostanza rimarcare l’irriducibilità dell’espressione animale a una sommatoria di meccanismi autonomi - bensì cerca di individuare dei processi addizionali capaci di realizzare le unità comportamentali esito dell’apprendimento e i complessi che mettono insieme tali unità per dar luogo a una sequenza comportamentale.

L’unità di base è un’associazione, vale a dire un nesso che lega in maniera diretta, come un interruttore, un input (stimolo) a un output (risposta), mentre la sequenza si realizza mettendo insieme le diverse unità in una serialità simile a un domino in modo tale da spiegare il flusso comportamentale esattamente come una cascata dove la caduta del primo tassello fa cadere tutti gli altri. In altre parole ogni output del domino diventa un input per il tassello successo.

In questo modello non c’è spazio per la soggettività perché tanto nell’unità di base (dato lo stimolo ho la risposta) tanto nella composizione delle unità (ogni tassello fa cadere solo quello successivo) c’è una cogenza espressiva e un’esaustività esplicativa: se conosco la struttura - quale stimolo produce quale risposta e come sono sequenziati i tasselli - conosco anche la funzione, vale a dire ciò-che-è è ciò-che-fa. Inoltre il modello behaviorista parte dal presupposto che il processo di apprendimento segua una semplice logica associativa, mettendo insieme elementi in entrata ed elementi in uscita solo sulla base della conseguenza piacevole risultante.

In tal modo l’emergenza di un nuovo comportamento non è mai un processo evolutivo, non è in altre parole una trasformazione di un pregresso, da cui una sorta di divorzio che il behaviorismo introduce tra innato e appreso. Questo uno dei tanti motivi che hanno mosso la diffidenza degli etologi che viceversa constatavano come i processi di apprendimento fossero legati al canone di specie. Per l’impostazione etologica la pretesa behaviorista di una tabula rasa condizionata dall’ambiente era un non-senso, falsificato peraltro dalle osservazione in natura degli animali. L’affermazione dell’approccio behaviorista - nelle pratiche di training animale si parla in modo pressoché unanime la lingua behaviorista - sta tuttavia nel fatto che il modello è semplice, intuitivo, apparentemente confermato dai fatti, in quanto è evidente che ogni individuo si orienta verso ciò che gli produce piacere e si allontana da ciò che contrasta il suo piacere. In realtà, come vedremo, il modello solo apparentemente è coerente, per certi versi tautologico, giacché molti sono i riscontri che ne falsificano l’impianto, tenuto in piedi da veri e propri epicicli esplicativi.

Tuttavia la proposta psicoenergetica dell’etologia classica non è stata in grado di scalfire il modello behaviorista dell’apprendimento per una sua rigidità implicita poiché secondo l’approccio dell’etologia classica scarso spazio è stato dato ai processi di apprendimento. Questo ha fatto sì che si consumasse una sorta di convergenza parziale tra i due modelli, non integrativa ma giustappositiva, dove si manteneva il modello psicoenergetico per l’innato e quello behaviorista per l’appreso. La separazione tra innato e appreso contrasta non solo con i riscontri fenomenici o di espressione comportamentale - giacché ogni apprendimento è sempre l’evoluzione di un comportamento innato, ma altresì è palesemente falsificata dalle analisi sul substrato neurobiologico.

L’approccio cognitivo-relazionale non si propone come ulteriore modello affiancativo dei due precedenti bensì come paradigma sussuntivo in grado di integrare i precedenti, correlare innato e appreso, risolvere le incongruenze e alcune difficoltà esplicative del behaviorismo e della psicoenergetica, di avvicinare la ricerca fenomenica a quella neurobiologica. Per comprendere questi slittamenti paradigmatici è utile soffermarsi ad analizzare i processi di apprendimento nel loro svolgimento specifico.

Nell’approccio tradizionale o behaviorista si spiega il processo di apprendimento animale attraverso:

  1. la sequenza Stimolo - Risposta - Rinforzo;

  2. il modello associativo capace di dar luogo a un automatismo comportamentale, definito condizionamento;

  3. una visione passiva o non riflessiva dell’animale che apprende;

  4. una lettura non specie-specifica dell’espressione comportamentale che sta alla base dell’apprendimento.

In questi anni abbiamo assistito allo sviluppo di un’interpretazione cognitiva del comportamento animale ma riferita a quelle espressioni che non possono trovare una spiegazione attraverso i modelli non-mentalistici, con il risultato di arrivare al paradosso di utilizzare tre paradigmi esplicativi per spiegare lo stesso fenomeno:

  • a) la spiegazione psicoenergetica dell’istinto, mutuata dall’etologia classica per i comportamenti innati;

  • b) la spiegazione associativa del condizionamento, mutuata dal behaviorismo;

  • c) la spiegazione elaborativa di matrice cognitiva per i comportamenti complessi.

Ma ci sono altri due paradossi in questa schizofrenia epistemologica, tutt’altro che il linea con il rasoio di Occam o il canone di Morgan, vale a dire:

  1. considerare la cognitività come sinonimo di comportamento cosciente, come se la mente o la soggettività corrispondesse alla coscienza;

  2. ritenere la cognitività come indicatore di somiglianza con l’uomo con il risultato di dare il via a una lettura antropomorfica dell’eterospecifico.

Penso che la spiegazione cognitiva debba sussumere e non affiancarsi ai modelli tradizionali, proponendo un modello che sappia descrivere-esplicare i riscontri che ci vengono dalla tradizione etologica e comportamentista, ma nello stesso tempo:

  • a) risolvere le incongruenze vigenti in questi modelli;

  • b) spiegare aspetti che questi due modelli non sono in grado di risolvere;

  • c) risolvere la dicotomia, non affrontata attraverso la giustapposizione di innato e appreso, in un unica introiezione dell’informazione.

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