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Non sei behaviorista quindi non sei scientifico - R. Marchesini

In questi giorni, grazie a un articolo di Valeria Rossi - "Linguaggio tecnico... o cinoegizio" presentato sul suo giornale online "Ti presento il cane" - torna di attualità il trito dibattito sui termini utilizzati da una certa cinofilia e si ripresenta la facile ironia su "quelli che si credono superiori perché parlano difficile". Anche se non tutti restano sul filo della satira e cadono rovinosamente nell'insulto, perché non è facile l'arte del funambolo: ci vuole stile e non solo sotto il profilo dialogico. Lo stile è un modo di essere non un artificio del comunicare. Se hai un'impostazione dogmatica puoi usare le parole più moderate e più possibiliste, ma quella matrice traspare e rovina tutto il tuo impianto. Dopodiché possiamo distinguere sui sottili distinguo tra comunicatore e affabulatore, sull'accusa di plagiare un pubblico beota, con cui si cerca di giustificare l'ossimoro del non-comunicatore (perché parla difficile) che comunica meglio o, meglio, che ha più successo comunicativo del comunicatore (perché parla come mangia). Fatto sta che ignaro dell'articolo di Valeria Rossi, per chissà quale strana coincidenza, con estrema tempestività postai un "chi parla come mangia ha l'obbligo di scrivere come caga" che sembrava messo lì apposta come non-risposta. Il fatto è che l'ironia è un prodotto instabile - utile anzi, indispensabile e che ho sempre apprezzato - ma per l'appunto portato a viraggi spesso imprevedibili o fin troppo prevedibili, che fanno sì che il non-detto poi venga detto da qualcun altro. Così se l'ironia si appoggia all'idea che stai dicendo cose semplici con parolone complesse per fare bella figura, in breve si passa al fatto che lo fai per mascherare il tuo nulla, poi che lo fai per buggerare gli ingenui, quindi che lo fai per fare concorrenza disonesta, poscia che lo fai sulla pelle dei cani e infine che lo fai per mascherare la tua totale ignoranza sotto il profilo scientifico. Il vortice è inevitabile e alla fine il risultato squalificante non cambia. Ma a questo punto alcune precisazioni sono d'obbligo. Chi ironizza sul linguaggio, definendolo astruso o pomposo, volutamente criprico o forviante, non mette minimamente in discussione il fatto che forse - e sottolineo forse, perché nel pensiero critico ci sta - dietro a un linguaggio differente c'è un paradigma interpretativo differente, vale a dire che il linguaggio - per quanto imperfetto e perfettibile - sta cercando di spiegare i fenomeni partendo da modelli completamente differenti dai propri. Insomma il problema non è il linguaggio ma il modello di riferimento. Chi ironizza infatti fa abitualmente uso di vocaboli tecnici - come rinforzo e condizionamento - che fanno riferimento ai propri costrutti interpretativi e non li mette minimamente in discussione. Ma in fondo a cosa fa riferimento la parola "rinforzo" se non a un costrutto interpretativo che vale all'interno di una certa cornice concettuale ma non corrisponde al termine che vuole spiegare. Insomma: il bocconcino è reale, chiamarlo rinforzo è un'interpretazione e come tale potrebbe essere corretta ma anche parziale se non addirittura errata. Ritenere il concetto di rinforzo non un costrutto ma un ente reale corrisponde al dogmatismo, vale a dire a credere che le teorie scientifiche siano completamente sovrapponibili alla realtà. Ma questo è stato più volte smentito dalla storia del pensiero scientifico, è un principio totalmente abbandonato dall'epistemologia, è trasformare la scienza in religione. Così chi ironizza parla di termini definiti "corretti" - quali rinforzo positivo o negativo oppure di punizione positiva o negativa - dandoli come appartenenti al reale e non come costrutti vigenti all’interno di un paradigma di pensiero ovvero di una cornice teorica che si chiama behaviorismo e che non è un dogma ma un’ipotesi interpretativa del comportamento. In altre parole chi ironizza su altri costrutti ritenendo i propri come reali e indiscutibili - rigorosamente scientifici - in realtà non si accorge di praticare il pensiero dogmatico ossia il contrario del pensiero scientifico. Voglio solo sottolineare che il behaviorismo non è una religione e che ogni ipotesi – anche l’universo tolemaico o la teoria del flogisto – si sono basati su riscontri. La scienza è problematica e si avvale di riscontri, ma le ipotesi non sono mai perfette, presentano punti deboli e il behaviorismo fin dagli anni ’40 ha mostrato i suoi punti deboli – si veda il dibattito interno di Tolman. Non parliamo poi a partire dagli anni ’60 quando sono stati introdotti il concetto di euristica – molto più produttivo del comportamentista tentativo casuale – e di molti altri che il dogmatico behaviorista mette alla berlina come se fossero nati da un gruppo di matti o di cialtroni. Sono modelli applicati sui processi di apprendimento e di comportamento animale e hanno risolto molte incongruenze che il comportamentismo non era in grado di spiegare, come il perché del rinforzo variabile, il perché dei comportamenti molari, il perché dell’insight, il perché dell’apprendimento latente, il perché dell’overshadowing, etc, dal momento che non voglio annoiare. Orbene uno può continuare a essere comportamentista, può rimanere all’interno di quella didattica, può ottenere piccoli e grandi risultati, e non sarò io a dire che è un sorpassato, perché comunque sotto tanti aspetti la didattica comportamentista ha dato risultati importanti. Ma – anche questo lo affermo chiaramente – nessuno può considerare un'alternativa teorica come una mancanza di ortodossia perché nella scienza non esiste l'ortodossia, ma solo la ricerca e il coraggio di aprire nuove possibili strade interpretative. Sia chiaro chi interpreta il comportamento alla luce della teoria behaviorista ha un modello che è totalmente diverso da quello cognitivo, direi quasi opposto, tipo universo tolemaico e universo copernicano. Dire che parlare di obiettivo è un modo furbesco-cialtrone per parlare di rinforzo, parlare di euristica è un modo furbesco per dire tentativi casuali, parlare di conoscenze è un modo furbesco per dire condizionamenti… significa non aver capito nulla. E questo è a discapito di chi pratica questo modo di interloquire: perché io conosco molto bene il behaviorismo, molti che invece sparlano dell’approccio cognitivo non sanno nulla ma proprio nulla di questo modello. Gli atteggiamenti dogmatici sono facilmente disvelabili: 1) ci si pone nei confronti dei non-allineati con lo stile del grande inquisitore che pone in risalto come le loro parole non trovino riscontro nelle sacre scritture; 2) si ritiene che l'evidenza o il riscontro corrisponda interamente al reale e non sia un aspetto del reale; 3) si confondono i costrutti interpretativi, ossia i concetti chiamati a spiegare, con ciò che tentano di spiegare; 4) si interpella una teoria scientifica per avere un giudizio ultimativo e non un riscontro di plausibilità, del tipo "lo dice la scienza"; 5) si ritiene che il riscontro sia una verifica ultimativa non un traguardo lungo un tragitto che può vedere persino inversioni di rotta; 6) ci si arrocca dietro i recinti delle teorie vigenti ovvero si utilizzano le teorie come castelli per difendere lo status-quo; 7) ci si elegge a guardiani dell'ortodossia; 8) si deride chi la pensa in modo differente nei primi tempi, si diffama o si combatte ferocemente in seguito, come se fosse una guerra di religione. Ma questi personaggi dimenticano che tutti i grandi scienziati all'inizio subirono il medesimo trattamento, furono dei distruttori dello status quo e non dei sacri guardiani dell'ortodossia. Ecco allora che il dibattito si sposta dai cosiddetti "paroloni" alle matrici concettuali. Chi scambia i concetti per parole, chi preferisce trattarli come parole, chi non pensa che esista un modo diverso di vedere le cose ma si tratti solo di descrizioni differenti, chi si ostina a tradurre o a fare ironia, rischia di aver perso in partenza. Si chiama arroganza travestita da semplicità... anche questa abbondante in questi tempi. L'errore è pensare che sia sempre una questione di "stele di rosetta", in realtà un termine nuovo ha senso se/quando introduce un concetto nuovo, una declinazione che il termine precedente non è in grado di raggiungere. Ovvio che se si parte dall'idea che non esista il concetto nuovo, è naturale che si prenda il termine nuovo come un modo complicato e astruso per dire la stessa cosa. Tutto questo non toglie valore a un altro aspetto, pienamente condivisibile, vale a dire che chi si rivolge a un pubblico di non-tecnici deve evitare quanto più possibile di usare termini tecnici perché il suo primo dovere professionale è quello di farsi capire.

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